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Bacon Blues

Bacon Blues



Ridi Bacon, con l’inesistente sorriso.
Con la distanza di chi guarda la propria morte dopo aver bevuto un bel po’.
Ridi rotto nelle costole, nelle gambe, nella faccia, nel culo, nelle mani
sapevi come sarebbe andata a finire,
che avresti conquistato gli occhi –
i macellai dalle sale di anatomia e dalle trincee
erano diventati disegnatori d’interni  e cucite
alle palpebre le grida. Ridi,
Bacon con il sorriso andato via da millenni sulla faccia d’oro
come un dio maya in giacca di pelle,
ti hanno fatto festa, e ora stanno togliendo grammo
a grammo, velo a velo, l’infelicità dai tuoi quadri…
Perché il grido d’infelicità è sottomesso alle mode, a meno
che non sia un latrato. E la pittura non latra.  

Il perro di Goya, sempre il perro. Quasi invisibile.

Senza colori sgargianti. Senza anatomie saltate come per
una presbiopia di Dio.
Il perro è e sarà sempre infelice.  Batte tutte le tue moine
da puttana e i versamenti, i magnifici
versamenti organici e pittorici.
Avevi preso di mira Velasquez. Ma ti hanno impallinato
prima loro. Lo sapevi, ne eri infelice e felice.

E ora siedi come un bimbo buttato a terra, e ridi, la mano
posata di fianco con la pistola nel pugno. E la pistola
è la farfalla che è in un battito la nostra inquietudine e nell’altro
la nausea.
Bravo, Bacon, ridi, come sei dolce, ti lecca la faccia la luce dei maestri
tenuissimi del colore, dei candidi pittori fiorentini,
che camminavano con il ciuffo americano come te tra banchi di mercati e
macelli nelle età della peste.