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Avventire- India, All'alba i clacson già sembrano impazziti

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Avventire- India, All'alba i clacson già sembrano impazziti

All’alba i clacson già sembrano impazziti. L’alberghetto affaccia le sue polverose finestre su una delle vie più trafficate. Ma la parola traffico non rende l’idea del caos che c’è la sotto: fumo di immondizie bruciate, centinaia di motorisciò a tre ruote, pullman stracarichi e tossici e auto di ogni forma. E pensare che questa è una delle città più tranquille, dicono. La città ha un nome impossibile Thruvananthapuram. capitale della regione del Kerala, sud ovest India. Quando sei in questi posti e senti parlare di crisi economica dell’Italia un po’ ti viene da ridere. E anche da tremare. Perché se leggi i titoli di giornale sembra che l’Italia sia un paese alla deriva, tra naufrafgi reali ed economici, e questo, l’India, un colosso che avanza gloriosamente macinando mercati e sviluppo. Il che è anche vero, però. Avere come unico punto di vista l’andamento dei mercati o le pagelle che giudici (e giocatori) della finanza ci offrono è il miglior modo per diventare strabici. Perché l’Italia –come buona parte del mondo occidentale- è in preda a una crisi del sistema finanziario, ma non è solo una parte del sistema finanziario. Nessun luogo in questo mondo è perfetto. Non mi pare di aver visto scampoli di paradiso in giro. Ricordo che una delle isole più belle del mondo aveva al mattino la piazzetta piena di lattine di birra. Anche in “quasi” paradiso gli uomini si ubriacano e vogliono dimenticare qualcosa. E dunque vedere la malora, l’abbandono, lo sfascio e la miseria che si trovano da queste parti, e trovarli imparagonabili a quanto c’è da noi non significa confrontare l’India al paradiso. Che l’Italia non lo sia lo sappiamo troppo bene. Ma forse non sappiamo più tanto bene quali sono i fattori che hanno reso l’Italia un piccolo strano gioiello di bellezza e di civiltà in mezzo a un mondo che in generale se la passa molto peggio, pur avendo risorse e ricchezze superiori alle nostre. Vedendo il lento ciondolare di tanti uomini in divisa, il poco rispetto per cose, strade, luoghi lasciati andare a catafascio, vedendo la diffusa sciatteria che qualcuno può scambiare per essenzialità, e infine vedendo la massiccia quasi ridicola invadenza del cinema e della musica, in questa India idolatrata da molti occidentali si nota un’ombra inquietante. Come un “progresso” iniettato a forza, grottesco. In questa regione ci sono i centri di ricerca più avanzati del paese e per strada ci sono veri tempietti con le effigi di Stalin e Lenin. Possono convivere il vertice della ricerca scientifica e massimo della ignoranza storica sui diritti umani ? Di che sviluppo si tratta ? Una poetessa molto in vista da queste parti, Sugatha Kumari, lotta da ventisei anni per la chiusura dei manicomi, poi per l’accoglienza delle ragazze violentate e abbandonate, e raccoglie ubriachi e sbandati di ogni genere. Si batte nei tribunali e nei suoi otto centri. Ha molti nemici, dice, in una mentalità dove ancora è “normale” abbandonare ragazze stuprate o vedove, dove il vasto fenomeno dell’abbandono dei bambini ispira film dolorosi, e dove l’alcool sta facendo strage. Anche dall’India ci arriva un avviso, che non si legge nei bollettini delle borse o nelle pagine economiche: lo sviluppo non è solo faccenda di soldi. Sarebbe tragico in un momento in cui il sistema finanziario ha mostrato il suo errore, pensare che la salute sociale passi attraverso il ripristino del sistema. Chi si comporta così, sottomettendo qualsiasi altra priorità, produce guasto. Mentre ci si affanna a salvare un po’ di ricchezza economica, non si deve perdere di vista che occorre incrementare molto altro. I cristiani medievali e umanisti italiani la chiamavano “humanitas”.