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Contro la letteratura, Avvenire, 11.05.2011

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Contro la letteratura, Avvenire, 11.05.2011

A volte occorre far ricorso al dialetto. Non c’è niente da fare, ci sono delle situazioni per lo più comiche, o grottesche,  che sollecitano l’uso di termini non comuni, non in lingua media. Ad esempio  quando si leggono certe pagine di cultura, o così si dichiarano. In dialetto romagnolo c’è una parola, sasa (da pronunciare con la “s” dolce, come rosa).  Indica uno stato confusionale in una persona,  l’essere divenuta sciocca,  un po’ rimbambita. Con gli occhi un po’ assenti. E’ l’impressione che m’ha fatto, mentre sorridevo, la mezza pagina che La Repubblica ha voluto dedicare a un problema sollevato da un mio libro recente (Contro la letteratura, Il Saggiatore). In quel libro prendo atto del fallimento dell’educazione alla letteratura nel nostro Paese, riscontrabile in ogni genere di statistica e di prima mano in molte scuole, e avanzo qualche proposta di cambiamento per le scuole superiori, così come stan facendo intellettuali (da Pennac a Todorov) in altre parti d’Europa e America.  Quel giornale non trova di meglio che liquidare  il mio libro con qualche citazione maldestra ad opera di un critico letterario che si dilunga a etichettarmi, sbagliando peraltro etichette,  più che comprendere i fatti e le questioni.  Vuole dimostrare che il problema  di  trovare nuove vie per  trasmettere l’arte e la letteratura ai giovani verrebbe da me sollevato per far piacere a Brunetta che ce l’ha con gli statali e a Tremonti e alla sua politica di tagli. Una cosa del tutto sasa. Una miopia che fa quasi ridere, ma segno di un grave disagio. A parte il fatto che se quel critico avesse almeno capito la mia proposta invece di fermarsi alle etichettine, si sarebbe accorto che essa  in realtà richiede più investimenti sugli insegnanti, si può sapere da dove viene questa sasaggine, questo ormai buffo  pavloviano riflesso  di una buona parte del mondo culturale a buttar sempre tutto in politica e in quella spiccia, di breve termine ?  C’è da preoccuparsi quando una questione che riguarda l’insegnamento della letteratura in un paese come l’Italia viene affrontata con gli occhiali miopi della polemichetta politica. E’ segno di una cultura ormai sasa. Di un senso critico ammalato di ideologismo basso. Quel mio libercolo ha fatto discutere e appassionare, creando  consenso e dissenso, come è giusto che sia  tra insegnanti e ragazzi, e avendo plauso da gente di cultura diversa come Citati o Celati. Gli unici che hanno mostrato un livido disprezzo per aver osato sollevare il problema sono stati alcuni nostalgici (come L. Cioni su Il Sussidiario.net) per cui innovare è una bestemmia, oppure voci come questa di A. Cortellessa  de La Repubblica che prendono fischi per fiaschi a causa di sasismo  politicante. Ma la cultura sasa può anche far finta di non vedere i problemi  e difendere lo statu quo. E pensare che la colpa  sia sempre dell’ultimo ministro antipatico che siede su una poltrona. Può sempre evitare, la sasa, di interrogarsi sui motivi profondi di un fenomeno e può pure evitare di cercare soluzioni dialogando con persone che hanno idee diverse. La cultura sasa può pure  ripararsi dietro etichette vuote e banali. Ma non può evitare una pena severa: il senso di vuoto e di inutilità. Cioè il fallimento del suo compito. Perché la maggior parte delle persone non chiede alla cultura di trovare solo argomenti di lotta politica. La maggioranza delle persone  chiede alla cultura strumenti per capire, per guardare dentro ai problemi, e per illuminare presente e passato della vita personale e sociale,  non altri motivi per partecipare all’ennesimo rodeo politico.  In Italia sta avvenendo il quasi divertente fenomeno di vedere la saldatura culturale tra i progressisti di ieri con i conservatori dell’altro ieri. Uniti –per motivi politici dell’immediato- in una battaglia di ultraconservazione culturale che non permette di discutere veramente quasi nulla. Ma di essere ossequiosi  solo a certe verità, a certe idee, o luoghi comuni tutti giustificati spesso solo attraverso la lotta politica dell’immediato. Cioè attraverso il più debole  e fazioso  dei criteri. Creando effetti quasi comici o patetici. Per questo sorrido, libero, di questa cultura sasa. E vado trovando più vivacità  cultura vera in spazi meno noti, meno chic, meno paludati…