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Intervista di Roberto Carnero

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Intervista di Roberto Carnero

 

 

1.Come è nata l’idea di scrivere questo libro? 

Non pensavo di scriverlo. È da matti. E va beh che un po' lo sono probabilmente....scrivo poesie....ma davvero non pensavo di farlo...Avevo suggerito all'editore di fare in mezzo a tanti saggi su Gesù un libro che ne raccontasse la vita, ai più sconosciuta o sentita a pezzi o senza rilievo esistenziale, quasi ridotta a una cosa di dottrina o di richiamo moralista, Cristo come un suocero, come scrisse Rimbaud.

E l' editore ha detto: falla tu...

 

2.Non l’ha spaventata la ‘grandezza’ del tema?

Un poeta è un esperto in grandi fallimenti...si misura sempre con l'indicibile...anche quando parla di un albero in mezzo a uno spartitraffico pieno di voli e di cielo bianco... Io scrivo perlopiù  poesia e sono un grande peccatore, però so cosa è il cristianesimo perchè l'ho visto. Cioè ho visto l'accadere dell'evento di Gesù nella vita di tanti, santi che ho conosciuto, mezzi santi, peccatori e gente di ogni genere...Come dice Borges ci sono due storie da raccontare sempre, quella di Ulisse, la vita come viaggio e grande nostalgia. E la storia di un Dio che viene dal cielo in terra e muore come uno schiavo. Una storia affascinante. E che interessa tutti.

Penso che noi siamo le visioni, gli esempi e  i racconti che lasciamo, e allora ho voluto raccontare quel che ho vistoa riguardo della vicenda più importante della storia. Senza paura, sapendo di adempiere in modo disastroso e però inevitabile al mio destino di scrittore.

 

3.A chi ha inteso rivolgersi come ‘lettore ideale’?

Boh, ho fatto leggere il,libro prima di pubblicarlo a due ragazzi di vent'anni e ho chiesto se si fossero annoiati..No, mi han detto. Penso lo possano leggere tutti.

Il lettore ideale non esiste, come non esiste lo scrittore ideale. Vedo che tanti che lo ha letto scoprono un gusto del Cristo che non immaginavano.

 

4.In che modo ha utilizzato come fonti e rielaborato i Vangeli?

Ho raccontato quel che c'è nei Vangeli arricchendolo con tanti contributi ( dagli apocrifi ad alcuni grandi libri di riflessione - da Guardini a Giussani- o di ricerca filologica. Ma non ho voluto diventare né un teologo né un filologo. Sono uno scrittore.

 

5.Nella prefazione tra i vari libri su Gesù che cita compare anche l’opera di Joseph Ratzinger. Che cosa le ha insegnato?

La centralità della figura di Cristo che Benedetto ha richiamato è un tesoro per tutti, per la Chiesa e per chiunque. Il suo lavoro poderoso e chiarificante, e anche onesto nel fermarsi dinanzi a certe cose oscure, è una pietra miliare. Ed è avvincente per l'ipotesi metodologica, con la quale non si separa il Cristo storico da quello della fede, semplicemente perchè non è storicamente possibile...

Mi ha guidato. E dove me ne discosto lo faccio assumendo la mia responsabilità, il mio rischio di poeta.

 

6.Poi cita Luzi e Testori. Che cosa le hanno trasmesso questi due grandi poeti sulla figura di Gesù? 

Il fatto che non è possibile nessun viaggio vero dentro e intorno all'uomo senza fissare lo sguardo - carico di tutta la propria inquietudine e di tutto il proprio desiderio- sul viso del Nazareno, sulla sua carezza e sulla sua croce, sul mistero della sua resurrezione. Non c'è nullacome Cristo per comprendere poeticamente -cioè profondamente, con rischio- la vita umana e le persone.

 

7.Oltre ai libri che menziona nella prefazione, c’è anche qualche film su Gesù che l’ha influenzata o suggestionata (penso al Vangelo secondo Matteo di Pasolini…).

Certo Pasolini con una tensione intellettuale fortissima, e Gibson con una passione umana sincera hanno dato due contributi importanti. Più che il cinema forse molte opere d'arte...

 

8.Veniamo al suo ‘romanzo’, se possiamo definirlo così. In cosa consiste principalmente la difficoltà dello scrittore che intende mettere in scena un personaggio unico come Cristo, insieme uomo e Dio?

È un racconto, un racconto sempre nuovo, come dice il sottotitolo. Pieni di vicende interessanti, di personaggi incredibili, di situazioni dolci e tremende, di scuotimenti, di scandali, di scontri, di sorprese. Per me la difficoltà è stata soprattutto  nel cercare una immedesimazione con coloro che hanno assistito alla sua vita. Senza nascondere nulla di me, della vita di oggi e della congruità storica. E accettare con l'umiliazione e la letizia che ne conseguono il fatto che il Dio incarnato decide di essere raccontato, e dunque senza spregio del punto di vista di chi racconta. Come dire: Dio si fida della nostra esperienza, si affida ad essa. Sconvolgente scambio, diceva Péguy, Dio si affida all'uomo...

 

9.A questo proposito lei mette in scena anche il parto virginale di Maria. Come ha risolto la problematicità di questa rappresentazione?

Ho raccontato il parto dei miei figli. Perchè di parto si è trattato. Lascio a teologi ed esegeti un altro livello di problemi.

10.Ma il suo Gesù è più divino oppure umano?

Non ha senso questa contrapposizione. È una presenza eccezionale, che colpiva per la sapienza, per la forza, per la tenerezza con cui trattava le persone e le situazioni. Anche a costo di scontrarsi con i Sacerdoti ebrei che detenevano l'idea altissima e commovente ma ultimamente triste di un Dio lontano e senza volto. La sua eccezionalità attirava la gente, che si dividevano in amici e nemici. Questa attrazione mostrava la sua vera radice a chi comprendeva quel che diceva e quel che faceva, e questa radice era la sua relazione con il Padre. La sua coessenza con Dio. Mentre mangiava e parlava, mentre carezzava il ferito, o perdonava il reietto.

 

11.Nella scena della crocifissione e nel fitto dialogo tra i personaggi mi è sembrato di cogliere l’eco delle antiche sacre rappresentazioni, come Donna de Paradiso di Jacopone da Todi. È così?

Magari! Se una favilla di Jacopone, della sua lingua di fuoco, una sua goccia di miele amaro e acceso, è nelle mie pagine ne sono onorato e commosso.

 

12.Lì c’è anche la paura, anzi il terrore da parte di Gesù. Come si concilia questo sentimento con la sua divintà?

Era un uomo, ebbe paura, patì come uomo, infinitamente. Se si dice che ha sperimentato tutto tranne il peccato, io ci credo, e nella storia della sua vita si vede.

 

13.Che cosa può insegnare oggi, anche a chi non abbia il dono della fede cristiana, la figura di Gesù?

La curiosità di sapere chi era, chi è. Del resto la fede è l'approfondimento di questa curiosità, la domanda di Lui. Non credo che la fede sia altro, nel suo nucleo, da questa sperduta appassionata domanda di Lui.

 

14.In cosa consiste la “perenne novità” del racconto della vita di Gesù (come recita il sottotitolo del suo libro)?

La novità è nel fatto che quando quel Suo sguardo tocca la tua vita, la tua vita diventa sempre nuova.

 

15 nel racconto usi a tratti un linguaggio poetico...

Non è possibile raccontare nessuna storia importante senza accedere a una intensità di lingua...la poesia è il linguaggio che entra in tensione e si accende davanti a una cosa che ti colpisce, e al suo mistero. Vale per un viso di donna, per una collina stranamente illuminata, e vale per la figura di Gesù. Parlandone lo metti a fuoco, lo impari, e il linguaggio si movimenta, esce dalla retorica, si fa pari alla tensione dell'esistenza.

 

 

 

 

(Apparsa in Studi Cattolici.)