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Pirandello

Pirandello

Un po’ a sorpresa uno degli autori più citati al Meeting che ha avuto per tema la verità e il destino è stato Pirandello. Io gli ho dedicato una conferenza, mettendo in dialogo alcune sue pagine con altre del contemporaneo Péguy, mentre Mons. Ventorino, nel suo intervento sul tema dell’edizione di quest’anno, ha citato più volte passi di Pirandello. In entrambi i casi, si è messa in crisi la lettura più in voga, ma anche più superficiale che tramanda un Pirandello distruttore di ogni certezza e di ogni verità. Il che è vero, ma a patto di intendere, come mostrano le pagine delle opere e le stesse dichiarazioni di poetica e le riflessioni dell’autore, che le sue opere erano “bombe  a mano” –così le definì Gramsci- contro le certezze e le verità della consuetudine, della abitudine. La sua critica feroce, acutissima al presunto valore delle parole nelle conversazioni, o dell’idea borghese di coscienza, e delle maschere dietro a cui ci si ripara, è , al pari di quella di Péguy contro le presunzioni dello storicismo e dello scientismo,  una critica che mira a mettere a nudo gli uomini di fronte a se stessi e al loro destino. A questo punta l’opera del commediografo siculo, che fin dalle poesie giovanili, nelle novelle e nei marchingegni quasi cinematografici del suo teatro coglie finzioni e fraintendimenti della vita che non vuole affrontare il teso problema del suo significato reale, sospeso tra fluire e permanenza, tra essere e forma.  Già nel passato v’era stato chi, come il critico Pietro Mignosi, aveva colto il valore religioso dell’indagine e dell’opera pirandelliana, mentre altri hanno tirato fili che legano il commediografo alle riflessioni di un pensatore centrale anche in Péguy, come Bergson. Eloquenti sono le pagine del ’36, in cui a pochi mesi dalla morte, Pirandello proclama la sua “perfetta ortodossia in quanto a posizione di problemi. E tali problemi non comportano che una soluzione cristiana”. Di quel Cristo che egli indica come amore e charitas, unico evento che svela all’uomo se stesso e la stoffa del reale. Ai cliché che offrono un Pirandello geniale nichilista, esponente di una crisi che negli anni delle avanguardie novecentesche mettono in radicale discussione tutto, si può opporre non un fantasma ricavato da citazioni ad hoc, ma una più ricca e prospettica figura di artista, capace ancora di scandalizzare e di offrire scandalo a quel che Péguy chiamava le “anime bell’e fatte”, le “anime oneste”. Quelle appunto per cui il reale non offre più un avventura.