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Amare la realtà o fuggirla?

In che verso va il mondo (Sole 24 Ore)

Amare la realtà o fuggirla?

Amare la realtà o fuggirla ? Cosa vogliamo ? E cosa significa poi amare, patire, affrontare il reale ? Da cinema, tv e nuovi media ci viene spesso il potente seduttivo suggerimento: il reale non esiste. E’ tutto finzione. Tutto interpretazione, come diceva il filosofo che uscì pazzo e più di altri sentiva il morso del vero, del reale, Nietsczhe. Tra virtuale, manipolabile e reale i confini sfumano. Fuori e dentro di noi. Tutto pare con la consistenza dei sogni. O delle opinioni: e ogni opinione vale un’altra. Allora si cercano bei sogni piuttosto che brutti, e opinioni accettabili e “corrette” piuttosto che scomode idee (dal verbo greco che significa: vedere). Ma la poesia –sì, lei, arte di sbandati visionari- si incarica di richiamare alla realtà. Al mare del vivente entro cui siamo e che non è quel che “immaginiamo” e non segue le opinioni mie o della maggioranza. Fame di realtà, l’han chiamata recentemente. Già ne parlavano Dante, Baudelaire, Eliot, Camus, Pasolini, Luzi, ed era in Caravaggio, Cèzanne...Se non si crede più nella esistenza del reale domina il gioco delle opinioni e del potere. La poesia sfugge questo gioco, a cui si prestano spesso anche i letterati. Non dà opinioni sul mondo: dà il mondo e il suo mistero. Come si vede in due raccolte recenti che accosto creando un piccolo cortocircuito: la ultima, affascinante e matura di Milo De Angelis (Quell’andarsene nel buio dei cortili, Mondadori) e un’altra di Chiara Carminati, rivolta specie ai piccoli (“Il mare in una rima”, Nuove edizioni romane). Tra i versi del libro della Carminati e quelli di De Angelis c’è meno distanza di quel che sembra. In entrambi si ammira l’apparizione del reale, la sua incursione che muove gioco o inquietudine, ombra e supplica. Entrambi i libri sono bambineschi in senso profondo, evangelico, sapiente. Lei parla di pesci e dell’omino della sera che “tende le onde/stira il mare/ perché le stelle del cielo si possano specchiare”. Lui indica con ormai suprema, distrutta e luminosa maestria le verticali e numinose presenze della vita. Quelle che fan dire al poeta di sè: “tu guardi sempre lì/ e a volte, con gli occhi fissi, cominci ad applaudire”. Questi omini della sera, e solo questi applausi vogliamo essere.